Durata: 17 giorni
Paesi percorsi: Colombia
Itinerario: Bogotà – Villa de Leyva – Barichara – Santa Marta – Palomino – Cartagena – Medellín – Guatapé – Jardin – Bogotà
Periodo: giugno
Sebbene la pandemia covid non sembra ancora essere terminata, le restrizioni si allentano e dopo quasi 3 anni possiamo finalmente rimettere piede in quello che da sempre è il continente di cui siamo follemente innamorati: l’America Latina. La scelta questa volta ricade sulla Colombia, un paese che durante i nostri primi anni di vagabondaggio avevamo saltato in parte per timori legati alla sicurezza, in parte molto più banalmente per mancanza di tempo. È giunto quindi il momento di porre rimedio a questa nostra mancanza.
Quanto segue è il resoconto giorno per giorno del nostro viaggio, tra emozioni, incontri e riflessioni. Questo “diario di viaggio” è stato pubblicato anche in tempo reale all’interno della pagina Facebook di “Va’ dove ti porta il blog” con la presenza di un gran numero di fotografie. Buona lettura a tutti!
COLOMBIA – 1° PARTE
Bogotá – Villa de Leyva – Barichara
Dopo 2 anni e mezzo di restrizioni dovute alla pandemia, finalmente torniamo a viaggiare fuori dall’Europa!
Come spesso accade con le grandi città, l’impatto con Bogotá è forte. Sebbene la capitale colombiana vanti numerosi spazi verdi, un continuo via vai di veicoli, motorini e persone danno vita a un caos opprimente. Alloggiamo nel quartiere della Candelaria, teoricamente il più sicuro. In realtà purtroppo la percezione è ben diversa, motivo che ci spinge a non andare in giro la notte. Giusto il tempo di mischiarci con i locali che, seduti sulle gradinate della Plaza Mayor, assistono divertiti ai monologhi comici di un artista di strada. Polizia e militari armati sono numerosi e disseminati agli angoli delle zone più a rischio e fungono certamente da deterrente sebbene non risolvano del tutto il problema della delinquenza.
Le 7 ore di fuso orario mischiate con la stanchezza accumulata ingannano i ritmi del sonno. All’alba siamo già pronti per esplorare la città. Una fitta coltre di nuvole basse avvolge ogni cosa. Si dice che in tutto il paese pioverà da luglio a novembre incessantemente. Fortunatamente però si tratta in realtà di pioggerelle leggere e sporadiche. L’aria è pungente, d’altro canto ci troviamo sulle Ande a un’altitudine di 2640 m.
Visitiamo subito il bellissimo Museo di Botero, che come la maggior parte dei musei cittadini è gratuito. Ho sempre pensato che ogni Stato dovrebbe farsi carico delle spese legate alla cultura, permettendo così a tutti di averne libero accesso.
Saliamo poi in funicolare sulla cima del Monserrate (3152 m.) da cui si gode di una spettacolare vista su tutta la città. Il luogo è anche meta di pellegrinaggio per i cristiani gemellato con Santiago de Compostela. Mentre passeggio tra ristorantini tradizionali e punti panoramici un ragazzo di circa 15 anni mi chiede in inglese da dove vengo. Sentendomi rispondere in spagnolo resta stupito che sappia parlare la sua lingua e parte con una raffica di domande inerenti ai paesi da me visitati e che ho amato maggiormente. Ascolta affascinato e curioso ogni mia singola parola. Prima di salutarci mi dice che è la prima volta in vita sua che esce da Cali, la città in cui vive. Ovviamente cerco di consolarlo dicendogli che è giovane e che ha tanto tempo per recuperare e vedere il Mondo. Mi ha fatto molta tenerezza questo ragazzo e contemporaneamente anche un po’ di tristezza. Non vi sono meriti o demeriti nel nascere in un luogo o in un altro. Si tratta solo di fortuna, una fortuna che ad alcuni concede opportunità d’ogni genere, mentre ad altri nessuna.
Scendiamo dal Monserrate a piedi convinti, come ci avevano detto, che il percorso sia molto semplice e si realizzi in solo mezz’ora. Non è affatto così… In realtà è necessaria un’ora abbondante attraverso grandi massi irregolari che di certo non agevolano l’avanzare. Lungo il tragitto una poliziotta mi si avvicina e mi chiede di mettere via la reflex e di tirarla fuori solo quando devo fotografare. Anche qui la polizia è molto presente e vigile nei confronti dei turisti.
Seguono altri musei gratuiti d’arte e di storia cittadina prima di rifugiarci nuovamente nel nostro alloggio. Qui facciamo la conoscenza di Ego, un simpatico ragazzo spagnolo di Bilbao e di una coppia di Bruxelles che sta viaggiando attraverso il Sudamerica da 6 mesi e proprio oggi è giunta all’ultimo giorno. Myriam quasi si commuove ripensando all’ultimo giorno vissuto da noi due e Christian dopo i nostri 6 mesi di viaggio nel 2014. A me invece suscita tanta felicità il fatto che altre persone abbiano provato sulla loro pelle un’esperienza così straordinaria come quella vissuta anche da noi.
Ad essere onesti lasciamo con piacere Bogotá, desiderosi di immergerci nella natura e curiosi di scoprire quel che ci attende tra i villaggi delle montagne. Le distanze seppur relativamente modeste in termini di chilometri, qui in Colombia divengono estremamente impegnative. La strada è spesso una sola e il trasporto merci dei camion ostruisce e rallenta il flusso dei veicoli.
Villa de Leyva è una fermata obbligatoria per ammirare oltre alle suggestive vie acciottolate anche la piazza più grande di tutto il paese e una delle più grandi dell’America Latina. A rendere il tutto ancor più magico è la presenza di lussureggianti verdi montagne sullo sfondo.
È impressionante vedere come anche qui, come a Bogotá, la Plaza Mayor ricopra un ruolo così importante nella vita delle persone. Diviene punto d’incontro, pista da ballo, teatro all’aperto, o semplicemente luogo dove sedersi e osservare la vita che scorre.
I problemi di Bogotà legati alla sicurezza sono ormai lontani. Tra le montagne tutto scorre serenamente. I colombiani poi sono un popolo meraviglioso, sorridente, gentile, accogliente. Un popolo profondamente interessato a conoscere chi gli sta di fronte, a maggior ragione se si tratta di uno straniero.
Nell’hostel in cui alloggiamo conosciamo una coppia di olandesi che ci raccontano di aver subito un tentativo di rapina a Bogotà proprio a due passi dalla piazza principale e dal luogo in cui alloggiavamo anche noi. Il malintenzionato ha mostrato loro un coltello, ma sono riusciti a scappare. L’evento non mi stupisce particolarmente in quanto anche io avevo percepito chiaramente un forte senso di insicurezza lungo le strade della capitale.
Il viaggio necessario a giungere alla destinazione successiva dimostra di essere particolarmente lungo e impegnativo. Ben 3 cambi tra minivan e bus che ci permettono però di ammirare da vicino la vita rurale delle piccole comunità disseminate tra le montagne. Le donne alle prime luci dell’alba sono già indaffarate e intente a mungere le mucche manualmente come si faceva un tempo. La strada si fa breccia tra le montagne e una vegetazione tropicale incredibilmente fitta. Di turisti oltre a noi neanche l’ombra. Mentre percorriamo una strada particolarmente impegnativa vedo che tutti attorno a me si fanno il segno della croce e penso: “La strada è brutta, ma mi sembra un po’ esagerato…! Sono tentato di compiere gesti volgari molto meno sacri e molto più profani. Quando nuovamente tutto l’autobus compreso l’autista si fa il segno della croce, capisco che non stiamo per morire, ma che in realtà tra le rocce di tanto in tanto sbucano delle Madonnine alle quali porgono così omaggio.
Barichara si rivela un villaggio incantevole situato sulla cima di una montagna proprio di fronte ad una vallata che toglie il fiato. Le difficoltà necessarie a raggiungere questa perla scoraggiano spesso i viaggiatori, inconsapevoli di perdere così una delle cittadine più affascinanti di tutta la Colombia. Il sole è tornato a splendere e tutto appare ancor più suggestivo.
Facciamo lunghe chiacchierate con i colombiani, scoprendo così moltissime cose interessanti sulla cultura e sulla situazione socio-politica del paese.
Sino all’ultimo istante ne approfittiamo per girovagare tra le viuzze di pietra in un continuo sali-scendi.
Per risparmiare tempo ed evitare estenuanti viaggi in autobus, decidiamo di recarci a Bucaramanga da dove prenderemo un volo interno per raggiungere le zone costiere del nord.
Lungo il tragitto però ci attende una sorpresa. Attraversiamo infatti il Canyon del Chicamocha, il secondo canyon più grande al mondo. Le dimensioni e in particolare la profondità di tale capolavoro della natura fanno venire i brividi e le vertigini.
Caraibi stiamo arrivando!
COLOMBIA – 2° PARTE
Santa Marta – Palomino – Cartagena
Con estrema facilità atterriamo a Santa Marta in soli 45 min. Avremmo voluto scappare subito a Palomino, ma si sta facendo notte e non ci sono più autobus in partenza. Santa Marta decisamente non é una località che fa per noi. Traffico esasperante e un massiccio turismo legato alle spiagge e al divertimento notturno.
Il fresco delle montagne diviene improvvisamente solo un vago ricordo. Le temperature qui sono talmente alte che la quasi totalità delle case e delle strutture ricettive sono sprovviste di acqua calda.
Il giorno seguente ci spostiamo a Palomino, precisamente un paio di km più avanti, all’interno della piacevolmente isolata riserva naturale El Matuy. Il luogo è incantevole e finalmente possiamo dormire all’interno di un bungalow sulla spiaggia. Addormentarsi cullati dalle onde del mare non ha prezzo, ed è un’emozione che non provavo da un po’.
Al calare della notte tutto diviene ancor più magico. La corrente elettrica è presente solo nella reception, perciò nei bungalow si rimane a lume di candela. La cena viene servita ai piedi di un enorme albero secolare al quale sono state appese decine e decine di candele. Puro incanto!
Vorremmo rimanere qui almeno qualche giorno, nostro malgrado la seconda notte eravamo stati costretti a prenotarla in un’altra struttura per mancanza di disponibilità. Sebbene il cambiamento sia in meglio, in un bungalow più lussuoso, sentiamo la mancanza delle ristrettezze e del profondo senso di libertà che suscitava la nostra capanna illuminata solo dalla tenue luce del fuoco. Mi rendo conto che sembri assurdo, ma è proprio così.
Rinfrancati dai giorni di relax riprendiamo carichi la nostra marcia. Purtroppo notiamo subito che tutta la costa nord presenta gli stessi problemi già riscontrati nelle zone caraibiche di tanti altri paesi come Panama, Costa Rica, Nicaragua, Honduras, Belize… Tanti cani randagi abbandonati a sé stessi e spazzatura ovunque. Il problema dei rifiuti è da sempre un grave piaga del Mar dei Caraibi legata all’ignoranza di coloro che abitano queste zone. In passato avevamo conosciuto i garifuna, una popolazione di origine africana che abita parte dei territori caraibici e che purtroppo mi duole dirlo, ma si era rivelata sempre razzista, alcolizzata ed estremamente irrispettosa nei confronti della natura. In Colombia i garifuna non sono presenti, ma il risultato sembra essere sempre lo stesso. È un vero peccato perché sino ad ora invece eravamo rimasti colpiti dalla pulizia dei villaggi e dall’impegno dei colombiani verso iniziative green e verso la salvaguardia ambientale.
Cartagena ci accoglie con temperature da capogiro. Il caldo è davvero opprimente, e da quel che affermano i suoi abitanti è da così a peggio tutto l’anno. Esco dalla porta del nostro alloggio bello fresco grazie all’aria condizionata e inizio a sudare, sudare, sudare…e smetto di grondare solo al mio rientro. La colorata e vitale città coloniale però è talmente affascinante da far dimenticare ogni sofferenza legata alla calura. Passeggiamo in lungo e in largo attraverso il centro storico, le mura e il quartiere artistico di Getsemani. Nonostante l’innegabile fascino, bisogna ammettere che Cartagena è una città estremamente turistica. Qui arrivano principalmente statunitensi ed europei, in particolare francesi, belgi e olandesi. Gli europei si fanno notare poco ci dicono. Visitano i luoghi di interesse storico culturale, mangiano in buoni ristoranti, fanno qualche escursione. Gli statunitensi invece giungono qui quasi esclusivamente per fare festa e tanto baccano. Bevono spropositatamente, cercano donne e non si muovono da Cartagena.
Ancora una volta per guadagnare tempo optiamo per un altro volo interno che ci condurrà rapidamente a Medellín, città per la quale nutriamo molta curiosità, tante aspettative e qualche timore.
COLOMBIA – 3° PARTE
Medellín
La “città dell’eterna primavera” ci concede finalmente una tregua dal caldo opprimente della costa. Medellín gode infatti di un clima mite tutto l’anno ed è considerata dai colombiani come il luogo ideale in cui vivere all’interno del paese. Si tratta a tutti gli effetti di una metropoli, le periferie però sono piuttosto tranquille e gli spazi verdi non mancano. Quella che meno di vent’anni fa era considerata una delle città più pericolose al mondo, oggi ha di certo cambiato rotta o almeno tenta di farlo con tutte le sue forze.
La metropolitana collega comodamente gran parte della città, permettendoci così di evitare le trafficate vie del centro. Iniziamo la nostra esplorazione proprio dalla Plaza de las Eculturas uno dei luoghi più rappresentativi. Decine di sculture di Botero sono ubicate qua e là e fungono da attrattiva per grandi e piccini. Tutte le opere sono state generosamente donate alla municipalità dallo stesso artista che qui è nato e cresciuto.
Ci dirigiamo verso il Giardino Botanico, ma dopo meno di un isolato ci rendiamo conto che la situazione si sta facendo eccessivamente pericolosa. Attorno a noi neanche una donna o un bambino. Ovunque persone svenute faccia a terra che non danno segni di vita. Quattro uomini con i vestiti laceri giocano a calcio in mezzo alla strada. Altri appoggiati alle pareti faticano a stare in piedi e appaiono alterati da alcool o droga. Controlliamo le vie adiacenti in cerca di un contesto più sicuro, ma niente da fare. Al siparietto si aggiungono anche le prostitute. Così per la prima volta in tutti i miei viaggi, sono costretto a tornare sui miei passi e a prendere nuovamente la metropolitana. Capiremo successivamente che essendo domenica le attività commerciali sono chiuse, e per questo motivo, alcune vie del centro divengono terra di nessuno.
Appena tre fermate della metro e sembra di esser stati catapultati in una città completamente diversa. Famiglie che passeggiano tranquillamente o fanno picnic con bambini e cani a seguito in un clima di festa che ben poco ha a che vedere con quanto visto poco prima.
L’affascinante Giardino Botanico che solitamente rappresenta un’oasi di pace, oggi ospita una specie di fiera con musica da vivo, stand gastronomici e qualche bancarella di artigianato. Ci lanciamo nella mischia approfittando della situazione per assaggiare diverse prelibatezze locali e sviluppando una preoccupante dipendenza per una bevanda chiamata “guarapo” composta da succo di canna da zucchero e lime.
L’indomani ci troviamo con Zoe (argentina) e Jules (canadese), una simpatica coppia di Montreal con la quale abbiamo condiviso il taxi il giorno prima. L’obbiettivo è visitare La Comuna 13, un agglomerato di abitazioni disseminate lungo la montagna che si erge alle spalle della stazione della metropolitana di San Javier. Pochi anni fa sarebbe stato impossibile uscire indenni da quella che un tempo era la zona più pericolosa della città, una zona che, per molti aspetti, può essere paragonata alle favelas brasiliane.
Oggi si organizzano veri e propri tour gratuiti (donazione volontaria) con l’obbiettivo non solo di far conoscere il quartiere, ma e direi soprattutto, di riqualificare la zona dimostrando che i turisti possono entrare senza correre nessun tipo di rischio. Tra i vari gruppi che effettuano questi tour il migliore e il più serio è sicuramente quello di Zippy Tour Comuna 13 le cui guide sono ragazzi che vivono realmente all’interno della Comuna 13.
Il tour è incentrato sui graffiti e sui murales disseminati praticamente ovunque, ma ad essere onesti, questo è l’aspetto che ho trovato meno stimolante. Le strade di Cartagena sono tappezzate di murales altrettanto belli se non addirittura superiori. Ad essere invece estremamente interessante e a rendere imperdibile la visita è la storia di questo luogo, raccontata in prima persona da coloro che la vivono tutti i giorni e che sono sopravvissuti agli anni più bui.
Sull’argomento si potrebbero scrivere interi libri e le parti chiamate in causa sono talmente tante che ci vorrebbero settimane di studi per comprendere anche solo una minima parte della complessa situazione socio-politica colombiana. Cercherò di riassumente, mi rendo conto in modo superficiale ed eccessivamente riduttivo, la storia della Comuna 13 per coloro che non ne hanno mai sentito parlare.
All’inizio degli anni ’80 ai margini della città era nato spontaneamente questo agglomerato di baracche e casupole che in brevissimo tempo era cresciuto a tal punto che le forze dell’ordine non erano più state in grado di controllare. Abbandonato quindi completamente a sé stesso, il territorio aveva visto dilagare ogni genere di delinquenza. Per far fronte a tale problema nacquero spontaneamente tra i giovani, milizie urbane con lo scopo di garantire la sicurezza.
Al principio tutto sembrava andare bene, ma come sempre, prima o poi gli ideali vengono accantonati quando entrano in gioco potere e denaro. Si passò così dal rubare cibo ai camion per poi distribuirlo ai bisognosi chiedendo un piccolo contributo, fino all’esigere denaro come ricompensa di protezione, incrementando sempre più i rapporti con il cartello della droga del celebre Pablo Escobar.
Questi piccoli gruppi armati attirarono presto l’attenzione del ELN (Esercito di Liberazione Nazionale) che pensò di poterli controllare estendendo e rafforzando la sua presenza a Medellín. Non furono però gli unici. Anche le FARC (Forze Armate Rivoluzionarie della Colombia) videro una possibilità di reclutamento e vi stabilirono una specie di quartier generale. D’altro canto la particolare conformazione della Comuna 13, fatta di stradine tortuose e molteplici luoghi dove nascondersi facilmente, la rendevano il luogo ideale dove insediarsi.
Tra il 2001 e il 2002 l’allora presidente Alvaro Uribe lanciò ben 6 operazioni militari per tentare di recuperare il territorio. Finirono tutte in un bagno di sangue nel quale vennero utilizzati costantemente paramilitari (gruppi di mercenari) per compiere il lavoro sporco. Il peggiore tra tutti gli interventi fu probabilmente l’operazione Orión, durante la quale per 4 giorni le case di lamiera furono bombardate ed esposte al fuoco di elicotteri che indistintamente sparavano a qualsiasi cosa si muovesse. I paramilitari fecero di peggio. Portarono via chiunque potesse far parte dei gruppi guerriglieri, e questo implicava praticamente qualunque maschio sopra i 16 anni. Tutte persone che non fecero più ritorno a casa e i cui corpi sono ora sepolti sulla Escombrera, un promontorio non lontano usato un tempo come discarica edile. Si ipotizza che lì siano state giustiziate e sepolte più di 300 persone.
A tutto questo si aggiungono i “falsi positivi”. Nel gergo militare i “positivi” erano i nemici dello Stato, spesso guerriglieri delle FARC. I “falsi positivi” erano quindi una simulazione per far passare l’uccisione di un cittadino comune per quella di un militante della guerriglia ai fini di riscuoterne la taglia. Recentemente si è scoperto che solo nei primi anni della presidenza di Uribe i “falsi positivi” ufficialmente riconosciuti furono oltre 6500.
La Comuna 13 oggi ha subito un cambiamento enorme. Il processo di riqualificazione della zona da parte della municipalità è risultato vincente grazie allo sviluppo di vie di comunicazione che potessero collegare in sicurezza il territorio con il centro di Medellín. Sono nate così teleferiche e scale mobili elettriche divenute oggi simbolo di riqualificazione e di rinascita.
Alla fine del tour, John, la nostra guida ci mette seduti e ci racconta dei tragici giorni dell’operazione Orión. Attorno a me gli sguardi sono seri. Qualche colombiano sorride e controbatte alcune affermazioni. Come spesso accade quando in una discussione subentra la politica, le opinioni possono essere molto diverse. Io cerco di non farmi vedere, ma fatico a trattenere le lacrime. L’empatia non è un dono come sostengono molti, è una vera condanna che ti obbliga non ad essere dispiaciuto, ma a sentire fisicamente il dolore delle altre persone. Chiedo a John dove si trovava quel giorno, quando tutto è iniziato. Mi racconta che aveva 13 anni ed era a casa con i suoi genitori e i suoi fratelli più piccoli. I paramilitari hanno fatto irruzione distruggendo parte dei loro averi, ma fortunatamente non hanno portato via nessuno vista la loro tenera età.
Dopo esserci fermati a parlare qualche minuto da soli con John, pranziamo presso “El Arte del Chocolate” situato proprio nella stessa struttura dove si è concluso il tour. Siamo gli unici clienti. Mamma e figlio che gestiscono questo piccolo ristorante si dimostrano delle persone davvero deliziose e il cibo sarà tra i migliori di tutto il viaggio in Colombia.
Giro veloce tra i vicoli ormai estremamente turistici di questa parte de La Comuna 13, per poi correre in centro al Museo Antioquia prima che chiuda. Escludendo alcune opere del solito Botero, la visita si dimostra di scarso interesse.
Torniamo nuovamente a La Comuna 13, questa volta però non prendiamo le scale mobili verso la parte turistica, ma ci dirigiamo con il teleferico in direzione della zona più autentica, quella che non visita nessuno. Siamo venuti sino a qui per conoscere Dario Nisivoccia, un ragazzo che avevo intervistato circa 1 anno e mezzo fa attraverso la pagina web di Va dove ti porta il blog. Dario attualmente si trova qui come volontario dell’associazione benefica Sembradores de la Comuna 13.
Scendiamo a San Juan XXXIII e ben presto ci troviamo da soli lungo una strada in salita in mezzo a una moltitudine di piccole e basilari abitazioni. Sbagliamo strada non una, ma ben due volte, nonostante abbia con me il gps. Finalmente troviamo il campo da calcio e la sede dei Sembradores. Incontrare finalmente dal vivo Dario è una vera gioia, così come lo è conoscere Jenny la fondatrice dell’associazione e tutti coloro che ne fanno parte. La mia mente torna per qualche istante alle emozioni e alle sensazioni provate nel 2014 durante il nostro breve periodo di volontariato nel nord dell’Argentina per la ONG Jardin de los Niños. Jenny ci mostra la struttura e ci racconta dettagliatamente la storia dei Sembradores e le attività che svolgono. Parliamo a lungo della situazione de La Comuna 13 e dei bimbi per i quali spesso lei è l’unico punto di riferimento. Jenny è riuscita partendo da un terreno adibito a discarica, a creare un campo da calcio, una sala dove poter studiare o seguire corsi di vario genere e una cucina, perché sembra assurdo, ma i bambini qui svenivano anche per la fame. Naturalmente non ha fatto tutto da sola. Molti sono coloro che come Dario si sono appassionati a questo progetto e hanno sostenuto sia economicamente che attraverso il loro tempo e la loro passione i Sembradores.
La storia personale di Jenny è estremamente drammatica. Anche lei ha vissuto sulla propria pelle l’operazione Orión, ma dal punto di vista opposto. Jenny infatti era tenuta prigioniera dalla guerriglia che oltre ai maltrattamenti le aveva portato via persino la figlia di appena un anno. Nel suo caso la sanguinaria operazione paramilitare le ha restituito la libertà.
Ci sentiamo talmente a nostro agio con queste persone che restiamo con loro anche dopo il calar della notte. Prima di andare i bambini e le bambine ci abbracciano e ci ringraziano di esser venuti a trovarli. Scendiamo insieme a Dario che deve tornare in città anche lui e ne approfittiamo per continuare a conoscerci meglio. L’oscurità ha ormai invaso i vicoli della Comuna e mentre percorriamo le strette scale che serpeggiano tra le numerose e umili abitazioni, mi sorprendo di quanto mi senta totalmente in pace con me stesso e non avverta minimamente la sensazione di essere in pericolo. Tutt’altro. Le persone ci sorridono e ci salutano amichevolmente. Mi sono sentito molto meno sicuro in pieno centro città e alla luce del giorno che qui di notte in uno dei quartieri più temuti.
Prima di scendere prendiamo il teleferico in senso opposto per poter così ammirare il panorama dalla cima della montagna. Durante il percorso la cabina sorvola zone ancor più in difficoltà della Comuna 13, dove le case non sono altro che rifugi di fortuna privi di qualsivoglia comodità. Senza neppure scendere dal nostro mezzo, la cabina fa il giro e inizia la sua discesa. La vista è mozzafiato e rappresenta il modo migliore per concludere questa giornata ricca di emozioni.
COLOMBIA – 4° PARTE
Guatapé – Medellín – Jardín – Bogotà
Un paio d’ore di autobus e il paesaggio cambia completamente. Le campagne nei dintorni di Medellín, a lungo rimaste inaccessibili a causa della guerra civile, offrono la possibilità di immergersi in un’atmosfera di profonda quiete circondati dalla natura.
Meta imperdibile, e nostra prima tappa, la Piedra del Peñol, un gigantesco monolite dalla cui cima si gode di una vista mozzafiato sul lago Embalse Guatapé, caratterizzato da una serie di lussureggianti isolotti che ne arricchiscono l’indiscutibile fascino. Per raggiungere la vetta si devono percorrere ben 659 gradini attraverso stretti cunicoli scavati nella roccia. Ad essi si aggiunge anche il ripido pendio che dalla strada conduce all’ingresso della Piedra. Insomma, non proprio una passeggiata.
Tutta la zona appare curata e molto pulita. A giudicare dalle ampie vetrate e dall’architettura moderna delle abitazioni disseminate attorno al lago, il territorio sembra essere destinato ai ceti più alti.
Proseguiamo per pochissimi chilometri fino a Guatapé, località presa d’assalto dai colombiani durante i weekend. Nonostante questa piccola cittadina possa apparire eccessivamente turistica, le abitazioni colorate e la gentilezza dei suoi abitanti rendono la visita piuttosto gradevole.
La sera, tornati a Medellín, decidiamo di esplorare il quartiere dove alloggiamo. El Poblado è considerato il barrio più sicuro e proprio per questa ragione ospita la maggior parte dei ristoranti e dei locali alla moda. Alcune strade vengono riservare solo ai pedoni che non si fanno di certo attendere, accalcandosi lungo le vie decorate a festa da ammalianti luminarie. I cocktails si susseguono rapidamente tra i tavolini all’aperto inondati da musica d’ogni genere rigorosamente a tutto volume.
Ego, il ragazzo spagnolo che avevamo conosciuto a Bogotà, è giunto in città proprio oggi. Ne approfittiamo così per rivederci e trascorrere una bellissima serata insieme. Ego fa parte di quelle persone speciali conosciute nel corso degli anni durante i nostri numerosi viaggi. Quelle persone che riconosci subito come affini e con le quali si instaura un rapporto di fiducia e complicità. Giunto il momento dei saluti, in noi non c’è tristezza, bensì gratitudine. Sono certo che ci rivedremo presto, in Italia, in Spagna o a Dubai, dove Ego vive per metà dell’anno.
Le piogge delle ultime settimane hanno creato non pochi problemi alle già precarie condizioni delle vie di collegamento colombiane. Molte sono state infatti le frane che hanno ostruito le strade della così detta “zona cafetera”, creando così ingorghi di ore ed ore. La nostra prossima meta sarebbe stata la Valle del Cocora, ma questi problemi di viabilità uniti ai violenti temporali previsti nei prossimi giorni, ci induco a cambiare i nostri piani.
Ne approfittiamo così per conoscere Jardín, un villaggio consigliatoci da molti colombiani, situato 3-4 ore a sud di Medellín. Anche Dario aveva insistito per farci conoscere questo luogo a lui profondamente caro. In effetti non è difficile comprendere il motivo per cui recentemente Dario è rimasto “bloccato” per ben 2 settimane in questa piccola cittadina. Jardín incarna in sé quanto di più affascinante e autentico possa assaporare un viaggiatore in Colombia. Qui la vita scorre lentamente scandita dai ritmi del sole. Gli anziani indossano ancora il tradizionale cappello paisa e trascorrono le giornate conversando tra i caffè del Parque Principal El Libertador, vero fulcro della vita cittadina. Sedie e tavolini di legno inondano di colore la piazza, così come le variopinte abitazioni che rendono ogni vicolo un vero incanto per gli amanti della fotografia. Molti abitanti si spostano ancora a cavallo, motivo per cui non è difficile vedere legati all’ingresso dei bar questi meravigliosi animali, in attesa che il loro padrone finisca la sua birra.
A prima vista Jardín può sembrare un villaggio sperduto con ben poco da fare. In realtà non è affatto così. Numerosi sono infatti i trekking che partendo proprio dal centro cittadino conducono a sorprendenti cascate, grotte e viste mozzafiato sulla vallata. Tutto attorno a Jardín poi sorgono piccole aziende agricole produttrici di caffè, disseminate lungo i pendii di suggestive verdi montagne.
Visitiamo così la Finca Tour Cafetero Los Correa, che nonostante il mio scetticismo iniziale si rivela molto interessante, permettendoci non solo di conoscere ampiamente i processi di lavorazione del caffè, ma anche di trascorrere una mattinata a chiaccherare con coloro che abitano queste zone.
Le condizioni metereologiche appaiono incerte, ma la voglia di esplorare i sentieri naturalistici circostanti è tanta. Sorpresi dalla pioggia, ci facciamo condurre da un tuk tuk sulla cima della montagna, fino al Café Jardin. La vista è spettacolare. Ben presto torna il sole, permettendoci così di riprendere il cammino e raggiungere prima la bellissima Cascada la Escalera e successivamente anche la Cascada del Amor. Ci sarebbero anche luoghi ancor più affascinanti a circa 7 h di cammino, ma il tempo a nostra disposizione sfortunatamente è troppo poco.
Il nostro viaggio sta per giungere al termine. Visti i vari problemi di viabilità che continuano ad affliggere il paese, siamo costretti a tornare a Medellín e prendere un volo per Bogotà dove trascorriamo l’ultima notte prima del nostro rientro in Italia. Abbiamo ancora a disposizione un’intera giornata dato che il nostro volo parte in tarda serata. Non avendo apprezzato particolarmente il centro della capitale colombiana al nostro arrivo, optiamo questa volta per il tranquillo Jardin Botanico e per il gigantesco Parque Metropolitano Simón Bolivar. La scelta risulta vincente e ci permette di scoprire così lo spirito più pacato e sereno di Bogotà.
È ora di salutare la nostra tanta amata America Latina e di tirare le somme di un’altra avventura, …ma questo lo vedremo nella prossima puntata.
COLOMBIA – 5° PARTE
Considerazioni finali
Molte sono le riflessioni che suscita un viaggio in Colombia. Nel complesso posso affermare di non aver avuto grandi sorprese. Le mie aspettative sia in positivo che in negativo si sono rivelate corrette.
La Colombia non è un paese che vanta mastodontiche attrazioni turistiche, per intenderci, non sono presenti alcuni di quei luoghi da vedere assolutamente almeno una volta nella vita. A renderla una meta imperdibile però sono i suoi abitanti. Il calore con il quale si viene accolti ovunque, la gentilezza a volte quasi ostentata o addirittura l’affetto con il quale le persone si rivolgono a voi, lasciano davvero esterrefatti. Se, ad esempio, per strada chiedete informazioni a una donna, questa vi risponderà con appellativi del tipo “mi amor”, “cariño”, “mi corazón”, “mi vida”, ecc… . Capite che, avere di fronte a sé qualcuno che vi parla in questo modo, predispone già in partenza un dialogo positivo e amichevole. Per dovere di cronaca bisogna dire che anche gli argentini tendono a usare questi epiteti, ma in modo minore e solitamente vengono utilizzati dalle persone anziane.
Risulta impossibile quindi essere di cattivo umore o arrabbiati con qualcuno. Tutti vi sorridono, nessuno tenta mai di ingannarvi o di trarre profitto dalla vostra presenza.
Eravamo consapevoli che avremmo trovato un popolo straordinario proprio perché, nel nostro intenso girovagare per l’America Latina, avevamo sempre conosciuto persone meravigliose di nazionalità colombiana. Un popolo curioso, appassionato, gioviale e autentico.
Non è un paese semplice da girare però, o almeno non lo è rispetto a molti altri latinoamericani. Le sue dimensioni sono molto più ampie di quanto possa sembrare. Il territorio poi, principalmente montagnoso, complica notevolmente gli spostamenti. Quasi sempre, è presente una sola strada, spesso in cattive condizioni. Attraverso di essa transitano di continuo, enormi camion merci. Ovviamente questo provoca rallentamenti considerevoli, aggravati ancor di più dalle continue frane che divengono frequenti nei mesi più piovosi. Si è quindi quasi costretti a ricorrere a voli interni che fortunatamente offrono costi abbastanza ridotti.
Tanto i villaggi di montagna quanto quelli sulla costa si rivelano davvero affascinanti. Più sono sperduti e difficili da raggiungere, più appaiono autentici e privi di turisti. Al contrario le grandi città come Bogotà o Medellín destabilizzano un po’ e risultano prive di quel fascino particolare tipico delle località sudamericane. Vi sono poi grossi problemi legati alla sicurezza, difficoltà quasi inesistenti invece nelle zone più remote.
Il clima di festa che si respira però è davvero contagioso. Ovunque vi troviate, che si tratti di un autobus, un negozio o semplicemente per strada, la gente canta e balla di continuo, trasmettendo quella gioia di vivere che spesso dimentichiamo.
Vale la pena quindi di visitare la Colombia? Assolutamente sì, sebbene non mi sentirei di consigliarla come prima esperienza nel continente latinoamericano. Altro fattore importante poi è quello di avere tempo. Per godere davvero fino in fondo di questa destinazione è necessario viaggiare con lentezza, assaporando così ogni sfumatura di questa esplosiva e colorata Colombia.
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