Sud America 2007-2008 (insieme a Myriam)

Durata: 4 mesi  

Paesi percorsi: Uruguay – Argentina – Brasile – Bolivia – Perù – Ecuador – Isole Galapagos  

Periodo: novembre – dicembre – gennaio – febbraio


La prima esperienza di vagabondaggio zaino in spalla verso l’ignoto del 2005-2006, era andata talmente bene che aveva cambiato profondamente il mio modo di pensare e di interagire con gli altri. Il ragazzo timido e timoroso d’un tempo non c’era più, e in me fremeva una voglia talmente forte di scoprire, di conoscere e di esplorare nuove realtà, da non permettermi più di stare fermo. Inevitabilmente quindi, appena ne ho l’occasione adesso, si parte, non importa la destinazione, voglio vedere ogni cosa, tutto ciò che il mondo e la vita hanno da offrire. Anche questo però sembra non bastare più. La tentazione di afferrare la mia mochila e di immergermi per mesi nella più totale libertà in un contesto dove poter essere realmente me stesso, diventa ingestibile. Così a meno di due anni di distanza dalla mia prima grande avventura si riparte!


Nel frattempo però conosco Myriam, colei che oggi è mia moglie e che da questo momento in poi sarà la mia immancabile e insostituibile compagna di viaggio e di vita. Ci accorgiamo subito che vedere il mondo è una passione che ci accomuna e, sebbene Myriam lo abbia fatto sempre in modo convenzionale, il suo spirito d’avventura non le concede esitazioni e la prospettiva di un viaggio del genere la rende entusiasta. In un primo momento qualche timore ce l’ho, sento infatti la responsabilità di dovermi prendere cura non più solo di me stesso, ma anche di un’altra persona che per di più non ha mai provato la vita del mochilero. Le mie preoccupazioni fortunatamente si rivelano del tutto infondate, Myriam conferma di essere una ragazza forte, indipendente, priva delle paranoie che caratterizzano la maggior parte delle sue coetanee. Neanche a dirlo si lascia travolgere completamente anche lei da questo modo di viaggiare che diventerà in seguito quasi uno stile di vita.

Se l’esperienza del 2005 con i miei amici Christian e Simone era stata la rivelazione, un percorso di crescita e consapevolezza interiore, questo con Myriam sarà il viaggio della maturità, dell’evoluzione personale verso il mondo adulto, ma anche verso un nuovo modo di essere adulti lontano dalle imposizioni della società e dei ben pensanti.

In questi quattro mesi abbiamo visitato luoghi da togliere il fiato, conosciuto persone meravigliose, consolidato profondamente il nostro legame, ma anche affrontato momenti difficili che si spera non accadano mai durante un viaggio. Tuttavia saranno alcuni dei mesi più emozionanti della mia vita ai quali resterò profondamente legato e per i quali conserverò sempre un posto speciale in fondo al cuore.

 


Itinerario dettagliato e rapida descrizione:

Argentina
BUENOS AIRES


Uruguay
COLONIA DEL SACRAMENTO – MONTEVIDEO – PUNTA DEL ESTE – PORTEZUELO – SAN CARLOS – VALIZAS – CABO POLONIO – PUNTA DEL ESTE – MONTEVIDEO – PAYSANDÚ – SALTO



Argentina
CONCORDIA – PUERTO IGUAZÚ


Brasile
FOZ DO IGUAZÚ


Argentina
SALTA – TILCARA – LA QUIACA



Bolivia
VILLAZON – TUPIZA – ATOCHA – UYUNI – SALAR DE UYUNI – SUD DEL LIPEZ (VILLA MAR, LAGUNA COLORADA, LAGUNA CAPIÑA, LAGUNA VERDE, MIRADOR FLAMENGO, ARBOL DE PIEDRA, LAGUNA ONDA, LAGUNA EDIONDA, LAGUNA CAÑAPA, SAN CRISTOBAL, CEMENTERIO DE TRENES) – POTOSI – SUCRE – TARABUCO – LA PAZ – TIQUINA – COPACABANA – LAGO TITICACA



Perù
PUNO – CUZCO – PISAC – URUBAMBA – OLLATAYTAMBO – AGUAS CALIENTES – MACHU PICCHU – AREQUIPA – CABANACONDE – CANYON DEL COLCA – NAZCA – LINEAS DE NAZCA – ICA – LAGUNA HUACACHINA – LIMA – CHIMBOTE – TRUJILLO – HUANCHACO – MANCORA – TUMBES – AGUAS VERDES



Ecuador
CUENCA – QUITO – OTAVALO – GUAYAQUIL


Isole Galapagos (Ecuador)
BALTRA – PUERTO AYORA – PURTO VILLAMIL


Ecuador
GUAYAQUIL – LAS TUNAS – GUAYAQUIL





Il lungo volo è reso ancora più pesante dai ritardi dell’aeromobile che ci fanno toccare il suolo argentino alle 02.00 del mattino. Naturalmente abbiamo già un hotel prenotato, ma questa volta non è affatto una fortuna. L’albergo risulta essere una vera bettola, le foto visionate online erano chiaramente una truffa, ma l’ora tarda e la grande stanchezza ci inducono a chiudere un occhio per la prima sera. Nonostante tutto poi l’entusiasmo relativo all’inizio di questa nuova avventura è così forte da non lasciarci abbattere cercando così di cogliere con ironia la spiacevole situazione. Il mattino seguente, dopo aver risolto abbastanza velocemente il problema relativo all’alloggio ci buttiamo tra il brulicante fiume umano che caratterizza la vivace Buenos Aires. Per me è il ritorno a un amore a prima vista nato due anni orsono, mentre per Myriam si tratta di un nuovo stimolante mondo che si apre davanti ai suoi occhi. Percorriamo in lungo e in largo la capitale argentina, rigorosamente a piedi, alternando romantiche passeggiate condite dall’immancabile suono del tango, al fervore delle pedonali sovraccariche di negozi, ristoranti e locali d’ogni genere. E ancora, momenti di puro relax tra la quiete dei numerosi parchi e visite a sofisticati musei e centri culturali. Il fascino di Buenos Aires non sembra essere per niente cambiato, il calore e l’accoglienza che gli argentini riservano ai visitatori poi, in particolare a quelli di nazionalità italiana, conquistano chiunque, rendendo di certo l’Argentina il paese ideale come primo approccio al continente latino americano. Decido anche di fare un tuffo nel passato entrando nell’ostello in cui avevo alloggiato con Christian e Simone due anni fa. Alcune cose sono cambiate, ma l’atmosfera è quella di sempre e, con mia grande incredulità, il personale mi riconosce subito, non hanno dimenticato i tre pazzi italiani.


Attraversando il Rio de la Plata, un’imbarcazione ci conduce rapidamente nel mio tanto amato Uruguay. Tappa obbligatoria proprio come due anni fa è Colonia del Sacramento, dove comincio subito a far conoscere le prelibatezze della cucina uruguayana a Myriam. Gli spettacolari tramonti sul delta del fiume e la pace assoluta che regna lungo le vie acciottolate del centro storico, creano poi un’atmosfera romantica dalla quale è difficile separarsi. A Montevideo però ci attende la mia famiglia, ansiosa di conoscere la mia compagna. Fortunatamente Myriam parla correttamente spagnolo, vantaggio non da poco, grazie al quale fa capire subito di che pasta è fatta. Quando in macchina i miei zii, temendo che possa non piacerle, non le porgono il mate (tipico infuso rioplatense dal sapore decisamente amaro), subito tuona scherzosamente: “Ed io?”. Pochi minuti dopo Myriam sarà seduta in soggiorno con mio nonno a bere whisky e a scherzare come se si conoscessero da sempre. Insomma, la mancanza di barriere linguistiche ed il suo approccio straordinariamente aperto e sincero, ha fatto si che venisse da subito accolta con grande affetto e simpatia in famiglia. Presto ci raggiungeranno anche i miei genitori e mia sorella con suo marito, in quanto tutti desiderano partecipare al grande imminente evento, l’ottantesimo compleanno di mio nonno!



Qualche giorno per ambientarci ed immergerci nella pulsante e malinconica capitale uruguayana ed è già ora di spostarci lungo la costa sino a Punta del Este, elegante ed esclusivo centro balneario dove trascorriamo momenti di puro relax tra lunghe distese sabbiose e tramonti dalle sfumature talmente accese che sembrano esser state alterate con Photoshop.

Unitisi a noi mia sorella e suo marito, non posso esimermi dal portarli a conoscere due villaggi davvero speciali lungo la costa. Facciamo base a Valizas, dove troviamo facilmente un appartamento in affitto per un paio di notti. Valizas è tale e quale a come l’avevamo lasciata, un’oasi di pace dove il tempo sembra non trascorrere mai, immersa in un’atmosfera bohémien tanto amata da mochileros e artisti di strada. Entro un po’ per nostalgia nell’ostello in cui avevo alloggiato due anni fa e subito il mio sguardo viene catturato da una foto situata dietro il bancone al centro della parete. Ebbene sì, sembra assurdo, ma anche qui non si sono scordati di noi, la fotografia ritrae me, Christian e Simone.
Memore dell’impegnativa, ma appagante esperienza già vissuta, convinco gli altri a percorrere a piedi gli 8 km che ci separano da Cabo Polonio attraverso alte dune di sabbia che si innalzano di fronte all’oceano creando una scenografia sorprendente. Piccolissimo inconveniente, giunti alla base delle prime dune ci troviamo di fronte un profondo e impetuoso fiume. Non capisco, sono certo che non c’era nulla del genere due anni fa. Scoprirò in seguito che il corso d’acqua c’è sempre stato, solo che la mia precedente avventura aveva coinciso con un evento di eccezionale siccità che aveva prosciugato completamente per un breve periodo tale ostacolo sul nostro cammino. Niente paura però, per pochi spiccioli, un anziano su una piccola imbarcazione fa da Caronte tra una sponda e l’altra. I nostri sforzi sono decisamente ricompensati, Cabo Polonio è una perla di rara bellezza, un pittoresco villaggio di pescatori, meta di hippies e personaggi stravaganti sin dagli anni 60, privo dei confort di base, dove però la vita scorre languida di fronte all’oceano. Un luogo imperdibile.

Tornati a Montevideo prima dei festeggiamenti di rito per l’arrivo del nuovo anno, scopriamo che il 31 dicembre al Mercado del Puerto si svolge tradizionalmente una festa a cui non possiamo mancare. Orde di giovani si riversano lungo le strade del porto cantando, ballando e, muniti di centinaia e centinaia di bottiglie cariche di vino, sidro ed acqua, danno vita ad una divertente “lotta” il cui unico intento è quello di bagnarsi gli uni con gli altri. L’atmosfera è allegra e coinvolgente. Col passare del tempo la folla cresce e si stringe attorno ad un gruppo di musicisti che, instancabili, danno vita a qualcosa di magico attraverso i ritmi tribali del candombe, mentre corpi sinuosi danzano avvinghiati tra loro in un travolgente crescendo di pathos.
Giunge purtroppo l’ora dei saluti, un momento sempre straziante dato che non sappiamo quanto tempo passerà prima di poterci nuovamente riabbracciare. Per di più i miei nonni cominciano ad avere una certa età, e la consapevolezza che gli anni passano inesorabili e incessanti rendono la nostra dipartita ancor più drammatica.

Puntiamo verso nord, addentrandoci nell’Uruguay più sconosciuto e rurale. Verdi colline a perdita d’occhio, e un numero impressionante di bovini che pascolano liberi e indisturbati, dando l’illusione di una libertà purtroppo effimera. Terra rossa, scura, scura come i volti sporchi e bruciati dal sole dei gauchos a cavallo che sembrano apparire all’improvviso come da un passato dimenticato. Prima sosta a Paysandù, che ad essere sinceri ha ben poco da offrire oltre al postre chajà, tipico dolce della zona, tanto stomachevole quanto squisito. Rimaniamo però colpiti dalla pulizia delle strade e dalla gente estremamente gentile e onesta.
Proseguiamo fino a Salto, ottimo punto dove poter attraversare la frontiera argentina via terra, ma soprattutto celebre località termale. Naturalmente ne approfittiamo per rilassarci un po’ immergendoci fino a tarda notte nelle bollenti acque delle terme di Dayman.


Varcato il confine, dopo aver gironzolato a lungo per Concordia, prendiamo un autobus notturno che ci permetterà di coprire comodamente la lunga distanza che ci separa da Puerto Iguazù. Nonostante il notevole afflusso turistico la città conserva le caratteristiche del placido villaggio a misura d’uomo. Impazienti di poter ammirare le celebri cascate, visitiamo subito il lato brasiliano rimanendo senza parole di fronte a tanta bellezza. Niente in confronto però a quel che ci attende il giorno seguente alle cascate di Iguazù del lato argentino. La differenza sostanziale è che mentre in Brasile ci si trova le cascate di fronte come se si trattasse di una cartolina, in Argentina si viene completamente inglobati, vivendole direttamente sulla pelle, addentrandosi nella giungla, immergendosi nelle sue fresche acque, insomma un’esperienza sensoriale a 360° da fare assolutamente almeno una volta nella vita.

Puerto Iguazu - Argentina - 2014


Ancora un viaggio notturno ed è la volta dell’affascinante Salta. Eleganti palazzi colorati, cura per i dettagli e vivaci vie pedonali, la rendono una delle mete più ambite del nord del paese. Il paesaggio poi si fa sempre più particolare e intrigante. La strada che collega Salta a La Quiaca infatti attraversa scenari splendidi, dalle tonalità simili alla tavolozza di un pittore. Prima però di lasciare il paese argentino facciamo tappa a Tilcara, un villaggio incastonato tra montagne di mille colori, dove proliferano giganteschi cactus talmente sorprendenti da sembrare finti. Con Tilcara sarà amore a prima vista, e faremo davvero fatica a ripartire, lasciandoci alle spalle le sue polverose strade di terra battuta, le sue pittoresche bancarelle e quell’atmosfera di quiete al di fuori del tempo.


Continuiamo a salire in direzione nord e i disturbi legati all’altitudine iniziano a farsi sentire. I volti di coloro che ci circondano cominciano a mutare. Più avanziamo e più i tratti somatici delineano una discendenza indigena che non può che suscitare la nostra curiosità e il nostro interesse. Superiamo velocemente gli esigui controlli doganali e ci immergiamo nel caos tipico delle città di frontiera a Villazon. Un fiume di colori, botteghe, mercati, ovunque c’è gente che fa affari. Le colorate gonne delle donne andine sono talmente grandi che non stupisce scoprire che vengano spesso utilizzate per contrabbandare merci di vario tipo da un paese all’altro. Alla stazione ferroviaria troviamo lunghe code e una folla di mochileros che avvilita attende invano accampata a terra. Tutti i treni con destinazione Uyuni non dispongono di posti liberi per i prossimi due giorni. Lo sgomento e lo smarrimento di tutti è evidente e sconcertante. Prendiamo in mano la situazione e in men che non si dica altre 9 persone ci seguono speranzosi, interrogandoci sul da farsi. La strada che collega Villazon a Uyuni è impervia e le piogge degli ultimi giorni l’hanno resa ancor più pericolosa. Parlo un po’ con la gente del posto e con le diverse compagnie di autobus. Molti mi consigliano di salire fino a Potosí per poi tornare indietro a Uyuni, ma al di là della perdita di tempo non mi sembra una buona soluzione dato che tutti stiamo accusando il soroche, un disturbo legato all’altitudine che si manifesta quando il corpo non ha avuto il tempo di abituarsi a tale condizione. Ci troviamo a 3400 m e giungere subito a Potosí che si trova a 4000 m sarebbe un suicidio. Basta accelerare il passo attraversando la strada per avere capogiri e fiato corto. Così decidiamo di proseguire in direzione Uyuni fino a Tupiza, che trovandosi a 2850 m, ci aiuterà a combattere i nostri disturbi fisici. Da qui, il giorno seguente, troviamo una jeep che ci condurrà alla volta della nostra tanto ambita Uyuni. La strada, se così si può chiamare, è effettivamente all’altezza della sua fama. Il nostro 4×4 si arrampica lungo sentieri impervi fatti di fango, sabbia e rocce. È un continuo sali-scendi con pendenze da montagne russe e quando, fortunatamente molto di rado, si incrociano atri mezzi le ruote sfiorano il ciglio del precipizio che neanche a dirlo è privo di qualsiasi tipo di protezione. Saranno 7 lunghe ore al cardiopalma, ripagate però da scenari spettacolari.



Giunti a destinazione acquistiamo un indimenticabile tour organizzato di 3 giorni attraverso il Salar de Uyuni e il sud del Lipez. Non vi è altro modo di visitare queste zone desolate se non affidandosi alle agenzie organizzate del luogo. Il timore di dover condividere alcuni giorni con dei perfetti sconosciuti viene presto spazzato via. I nostri compagni di avventura sono tutti personaggi fantastici, degni d’un romanzo d’appendice. Il legame che nascerà tra noi sarà immediato e profondo, e renderà questa esperienza ancor più stimolante dandole una connotazione e un valore umano inestimabile. Oltre agli argentini Nahuel, Angeles e Carola, che si erano aggregati a noi già a Villazon, si aggiungono così le argentine Fernanda e Carola, i due italiani Edoardo e Guglielmo, la spagnola Miriam (fidanzata di Guglielmo), e il francese Manù. Infine una coppia di brasiliani che sfortunatamente resterà spesso in disparte, probabilmente un po’ per la grossa differenza d’età, un po’ per le difficoltà linguistiche in quanto non parlano spagnolo.

La prima tappa del nostro tour è quella che lascia chiunque senza fiato. Il Salar de Uyuni, il deserto di sale più grande al mondo, è una di quelle immagini che ci si porta dentro per il resto della vita. Mai avevo avuto davanti agli occhi così tanta bellezza. L’emozione è talmente grande da far scendere le lacrime. Una distesa bianca a perdita d’occhio, sopra la quale, si crea uno strato di circa 10 cm d’acqua, fondendo terra e cielo in un unico elemento. Non si riesce a capire dove finisca l’uno e cominci l’altro. Tutto e tutti vengono inglobati e l’ingannevole sensazione è quella di fluttuare nel vuoto.



Vorremmo rimanere qui per sempre, ma è tempo di addentrarci nel sud del Lipez. La nostra guida di viaggio definisce questa zona come “il luogo dove si possono ammirare i paesaggi più belli di tutta l’America Latina”, e inaspettatamente bisogna ammettere che ha proprio ragione. Ci attendono 3 giorni di lagune dai colori sgargianti, distese desertiche, giganteschi cactus, alberi pietrificati, geyser, e ancora, lama, vigogne, infinite colonie di fenicotteri rosa, veri padroni di queste terre tanto inospitali quanto meravigliose.



Sfortunatamente però per noi le emozioni non sono ancora finite. L’ultimo giorno, proprio mentre stiamo oramai tornado verso la civiltà urbana, durante la consueta sosta per il pranzo, avviene un episodio apparentemente banale che ci condurrà successivamente a dover affrontare momenti drammatici. Manù, che si diletta di giocoleria, utilizzando alcuni sassi come palline e coinvolgendo in tutto questo anche Guglielmo, colpisce accidentalmente alla testa quest’ultimo con un sasso. Un po’ di dolore, un bel bernoccolo, ma niente di così grave o allarmante in condizioni normali. Ci troviamo però a quasi 5000 m di altitudine e i nostri corpi sono già così sottoposti a uno sforzo di adattamento notevole. Divisi in 2 jeep iniziamo a percorrere la lunga strada del ritorno, quando il nostro autista, accortosi che da troppo tempo non vede il secondo mezzo decide di fermarsi e attenderlo. D’un tratto arriva a tutta velocità la seconda jeep da cui scendono correndo Miriam ed Edoardo sorreggendo Guglielmo che piange e grida come un pazzo. Ha perso l’uso prima della bocca e poi del viso, non riesce a respirare ed è stato necessario tirargli fuori la lingua per evitare che soffocasse. In queste condizioni è più che comprensibile che Guglielmo si sia fatto prendere dal panico. Ci scambiamo le jeep, dato che quella in cui stavamo viaggiando noi è più veloce, e parte una folle corsa verso il primo punto medico a disposizione. Purtroppo siamo davvero in mezzo al nulla. La tensione è palpabile. Dopo ben 40 minuti troviamo il primo villaggio, ma l’ambulatorio è totalmente in disuso e non vi è anima viva. Riprendiamo le ricerche, ancora 1 ora ci separa dal villaggio successivo dove, ahimè, la situazione è la medesima. Guglielmo non migliora affatto, continua a urlare e ad agitarsi. Ci vogliono altri 15 minuti per raggiungere l’ospedale di San Cristobal, che più che una struttura medica sembra essere una scuola. Il medico sembra un bidello e l’acqua che sgorga a fatica dai rubinetti esce marrone. A Guglielmo viene somministrato dell’ossigeno, grazie al quale fortunatamente si calma un po’. Probabilmente ha subito un trauma cranico, ma sono necessari esami più approfonditi che qui non possono essere eseguiti. Tornati in città si avvicina il momento dei saluti, ognuno di noi andrà per la sua strada, ma prima, ci concediamo un ultima serata, cenando insieme, omaggiando la vita e cosa ancor più importante, tenendo compagnia fino a tardi a Guglielmo che, visto l’accaduto, per precauzione deve restare sveglio tutta la notte.



Riprendiamo il nostro itinerario verso nord fino a Potosí, celebre per le sue miniere d’argento, sfruttate senza tregua per secoli dai conquistatori spagnoli. Nonostante molti dubbi, decidiamo di scendere nelle viscere della terra e visitare il Cerro Rico, una miniera tutt’ora attiva, conoscendo così da vicino questa realtà sconvolgente. Un ambiente malsano e pericoloso, lavoro minorile, condizioni estreme e un sincretismo religioso che sa più di rassegnazione a una vita di sofferenze che di fede. Questo è ciò che ci troveremo davanti agli occhi. Indossiamo l’attrezzatura necessaria e giunti all’ingresso accendiamo le pile in dotazione sui nostri caschi. Inizia così la discesa all’Inferno. Il cunicolo è angusto e avanzando diviene sempre più buio. L’aria è satura di una polvere nera che disturba la respirazione. La terra sulla quale poggiamo i piedi diviene presto fango, mentre il soffitto si abbassa sempre di più. Myriam sarà decisamente più brava di me, riuscendo a compiere il percorso completo lungo 2 km, arrivando persino a strisciare attraverso un angusto e soffocante cunicolo. Io al contrario preso da un senso estremo di claustrofobia dopo alcuni minuti darò forfait, accodandomi ad alcuni minatori che trasportano un carico verso l’esterno.
Nonostante tutto, coloro che lavorano nelle miniere si considerano fortunati dato che lo stipendio è quasi il quadruplo rispetto alla media, permettendo così ai minatori di vivere una vita relativamente agiata seppur per breve tempo. L’aspettativa di vita infatti in questo paese è di 65 anni, mentre quella di un minatore è di 45 anni. Alcuni di loro però non superano nemmeno i 30 anni a causa di malattie respiratorie, cardiache o vittime di incidenti sul lavoro.

Tappa seguente l’affascinante Sucre che fa piombare improvvisamente il visitatore in un contesto decisamente più benestante rispetto al resto del paese. Città dall’aspetto curato e pulito dove però i contrasti sociali appaiono molto più evidenti.
Per degli amanti dei mercatini come noi, l’escursione giornaliera a Tarabuco è a dir poco obbligatoria. Questo piccolo villaggio infatti, la domenica trasforma le sue viuzze in un’esplosione di colori dove prodotti artigianali d’ogni genere insieme a un clima festoso e gioviale vanno a comporre quello che senza dubbio è il mercato più grande e affascinante del paese. Inutile dire che compreremo talmente tanta roba che giunti a La Paz saremo obbligati a spedire un pacco a casa tramite le efficientissime poste boliviane. L’impatto con la capitale è davvero forte, La Paz ci investe con tutto il suo caos vitale. A nostra insaputa siamo capitati durante i festeggiamenti in onore del dio Ekeko, quando migliaia di persone dopo aver acquistato miniature di ciò che desidererebbero ricevere, si riversano lungo le strade del centro creando fiumi umani impenetrabili, ammassati attorno a bizzarri personaggi che bruciano tali offerte insieme a quintali di incenso con la speranza che il dio realizzi appunto i loro desideri.
Lasciamo presto questo marasma e facciamo rotta verso il lago navigabile più alto del mondo, il Lago Titicaca, precisamente nella cittadina di Copacabana dove alloggeremo. Ci troviamo a ben 3810 m e, sebbene siano poca cosa in confronto alle altitudini raggiunte nel sud del Lipez, sia io che Myriam accusiamo diversi problemi di salute. Nel mio caso saranno talmente gravi da costringermi a rivolgermi in piena notte all’ospedale locale dove mi verranno somministrati farmaci per abbassare la pressione.


Superata anche questa disavventura ci dirigiamo verso la frontiera dove con estrema facilità a piedi entriamo in Perù fermandoci a Puno proprio durante un importante festa popolare tra musicisti e danze in abiti tradizionali. Escursione in giornata poi alla scoperta delle Isole Uros. La navigazione del Lago Titicaca è particolarmente affascinante e la visita alle “isole galleggianti” per quanto assuma un’inevitabile connotazione turistica, si rivela comunque molto istruttiva. Gli Uros inoltre sembrano interessati quanto noi a capire meglio chi si trovano davanti, così l’interazione seppur difficile assume di significato.



Si prosegue, ad attenderci la tanto blasonata Cuzco. Architettura coloniale, paesaggi incantevoli, atmosfera pacifica, inestimabile bagaglio storico archeologico, frizzante vita notturna e un’accoglienza del tutto atipica per una meta turistica così famosa. Cuzco è uno di quei luoghi magici che sa stregare i viaggiatori, facendo loro rimandare di giorno in giorno la partenza. La nostra avventura però prosegue e l’obbiettivo è raggiungere Machu Picchu senza spendere una fortuna. Il treno da Cuzco infatti è davvero molto caro, la compagnia inglese Orient Express detiene il monopolio di tutte le vie d’accesso al celebre sito archeologico, in questo modo può dettare legge sui prezzi. Noi però non ci arrendiamo, un autobus ci conduce a Pisac, dove cogliamo l’occasione per lanciarci nei festeggiamenti del carnevale insieme alla popolazione locale. Passando poi per Urubamba, facciamo tappa a Ollataytambo, un pittoresco villaggio andino incastonato tra le montagne. Da qui alle prime luci dell’alba prendiamo un treno che ci conduce finalmente a Machu Picchu. Con questo metodo non solo riusciamo a risparmiare molto, ma soprattutto entriamo nel sito archeologico per primi, quando ancora le orde barbariche di turisti non sono nemmeno partite da Cuzco. L’impatto è indimenticabile, dinnanzi a noi una fitta coltre di nuvole che all’improvviso si dissolve davanti ai nostri occhi dando vita a una scena surreale. L’emozione è tanta che Myriam non riesce a trattenere le lacrime. Restiamo in contemplazione per quasi un’ora, prima di immergerci tra rovine e lama che incuranti della presenza umana passeggiano attorno a noi. Scendiamo a piedi fino ad Aguas Calientes dove trascorriamo la notte dopo esserci rilassati per bene nelle sue terme naturali con vista sulla montagna sacra.



Tornati a Cuzco ci ritroviamo nel bel mezzo di una dura manifestazione popolare contro il governo inerente a diverse motivazioni. L’attenzione viene rivolta specialmente alla vendita dei siti archeologici e delle attività a essi connessi, a imprese straniere, impedendo così introiti a favore dei locali. Le proteste si protrarranno per settimane culminando persino con la chiusura di Machu Picchu.


Lasciatoci tutto alle spalle, una piccola deviazione verso sud ci permette di godere del coloratissimo e fotogenico Monasterio di Santa Catalina ad Arequipa e successivamente della vista dei condor nel Canyon del Colca, poco distante da Cabanaconde dove per l’ennesima volta capitiamo in un giorno di festa tra canti, balli e fiumi di alcool.
Una sosta a Nazca è d’obbligo per poter osservare da vicino le enigmatiche “linee” che ancora oggi suscitano perplessità e domande. Vista la quantità e le dimensioni di queste antiche e misteriose figure tracciate sul terreno, il modo migliore per osservarle è ovviamente dall’alto. Così Myriam, che è molto più coraggiosa di me, si concede questo brivido, e di brivido davvero si tratta, dato che per ben due volte è costretta a svegliare un pilota particolarmente assonato.
Procediamo lungo la Panamericana verso nord. A due passi da Ica, proprio alle porte del deserto, sorge un’oasi di rara bellezza, circondata da alte dune sabbiose, sto parlando della Laguna Huacachina. Attendere il tramonto dalla cima di una duna, sentire il vento sulla pelle scottata dal sole, osservare la luce attorno a noi dipingere la sabbia e il cielo, è un’esperienza che non si dimentica facilmente.



Abbandoniamo questo paradiso per piombare tra le moderne e cosmopolite vie della capitale. Lima ci accoglie con la sua eleganza, ma anche con tutto il suo consumismo, aspetto ovviamente molto comune alle grandi città.


Un paio di giorni ed è già tempo di fare i bagagli, allontanarci dal caos e dirigerci verso le spiagge. Viaggeremo di notte per poterci svegliare così a Trujillo, o almeno questo sarebbe il piano. Ho però una brutta sensazione, come di qualche evento nefasto che sta per accadere, temo che durante il tragitto qualcosa vada storto, bucheremo una gomma, si romperà il motore, non funzionerà l’aria condizionate, niente di particolarmente drammatico insomma. Così dopo aver manifestato le mie perplessità a Myriam decidiamo comunque di partire, i biglietti del bus sono già stati acquistati, e i miei timori si basano sul nulla. Probabilmente il contatto con una metropoli piuttosto pericolosa mi ha reso semplicemente un po’ paranoico. Non potevamo nemmeno immaginare ciò che di lì a poco sarebbe accaduto.
Il nostro bus parte alle 22.00 come da programma, alle 01.30 della notte veniamo svegliati da uno dei nostri due autisti che ci comunica che è in atto uno sciopero agrario. L’autobus è quindi costretto a fermarsi per far passare i manifestanti. Dopo una breve attesa sembra esser tutto risolto, così ci addormentiamo senza altri indugi. Al nostro risveglio però ci accorgiamo di essere ancora in mezzo al deserto, bloccati lungo un’interminabile fila di bus e camion che si perdono all’orizzonte. Gli agricoltori hanno costituito quattro posti di blocco lungo la Panamericana, unica strada che attraversa queste terre, così ora siamo intrappolati tra il primo e il secondo stop senza poter ne proseguire ne tornare indietro. Il caldo inizia a farsi sentire, disponiamo di una modesta quantità di acqua e cibo che non durerà a lungo. Dall’unico villaggio relativamente vicino alcuni venditori arrivano a piedi in nostro aiuto. La maggior parte di loro però se ne approfitta applicando prezzi molto alti per l’acqua. Niente di impossibile per noi, ma molti peruviani non se lo possono permettere. Inoltre per poter accaparrarsela è necessario farsi largo tra la bolgia in uno scenario apocalittico di disperazione. Riesco quasi per miracolo a recuperare due bottigliette d’acqua, ma mentre torniamo al nostro mezzo, Myriam vede una mamma con due bambini che ci fissano all’ombra di un autobus. Non ci pensa un attimo, si avvicina e regala loro la bottiglia d’acqua da me conquistata con tanta fatica. Nei primi secondi prendo in considerazione l’idea di ucciderla, subito dopo invece decido al contrario che questa donna dovrà per forza diventare mia moglie. Le ore passano e dalle aride colline circostanti iniziano ad apparire loschi personaggi armati, delinquenti a tutti gli effetti che si mischiano ai contadini con ben altre intenzioni. Nel bus ormai si comincia a fraternizzare, in particolare facciamo amicizia con padre e figlio peruviani che hanno in passato già vissuto un’esperienza del genere durata ben quattro giorni. La tensione aumenta, tutti attendono l’arrivo dell’esercito che però non si fa vivo. Alle 13.00 però la polizia in tenuta antisommossa riesce a prendere il controllo del varco stradale, così si inizia ad avanzare lentamente, ma tutto questo rende la protesta più violenta. Iniziano le sassaiole contro i bus, ci fanno inginocchiare con la testa bassa e le tende chiuse per evitare che pietre o frammenti di vetro possano ferirci. Il caos fuori è tremendo. Myriam per la prima volta in questo viaggio va comprensibilmente in crisi, io però devo mantenere l’autocontrollo, così mi infilo la carta di credito dentro a una scarpa e le memorie della macchina fotografica in tasca, invitando Myriam a fare lo stesso. Tutto il resto non è importante, che si prendano ciò che vogliono. Le intense sassaiole proseguono, ma riusciamo a passare senza grossi danni. Il bus davanti al nostro invece non sarà così fortunato, non resterà integro nemmeno un vetro.
Giungiamo a Chimbote, ma i problemi non sono finiti. Appena fuori dalla cittadina gli scontri proseguono più violenti che mai. Noi passeggeri chiediamo di sostare nel terminal centrale e di attendere che faccia giorno, ma gli autisti al contrario hanno l’ordine di non fermarsi. Prendiamo in considerazione l’idea di scendere dal bus e di trovare un albergo qui, ma tutti ce lo sconsigliano. I malintenzionati non aspettano altro che qualche turista si avventuri da solo per strada. Quindi si va avanti, ma appena fuori città la polizia obbliga noi e altri sette bus che viaggiavano in carovana ad accostare, è troppo pericoloso. A bordo strada le case aprono le porte e iniziano a distribuire gratuitamente limonate. Un gesto pieno di umanità che in qualche modo solleva il morale. Dopo un’ora di attesa ci fanno tornare al terminal, ma niente da fare, non c’è più posto. Fuori si vedono persone armate di machete, sembra di essere in Rwuanda ai tempi della guerra civile. La polizia ci scorta in una grande zona adibita a fiere, una specie di stadio, dove sostiamo insieme a una sessantina di bus e dove la protezione civile distribuisce acqua. Alle 01.30 di notte ci comunicano che si può ripartire, l’esercito infatti ha preso il controllo dei posti di blocco lungo la Panamericana. Sulla strada restano incendi, pali della luce abbattuti, massi e vetri ovunque, insomma un disastro. Alle 03.30 il nostro calvario giunge al termine e padre e figlio conosciuti nel bus non ne vogliono sapere di lasciarci soli. Ci portano in taxi fino a casa loro, prendiamo la loro macchina e ci accompagnano in hotel. Due persone davvero gentilissime che ci sono state vicino durante tutta questa brutta avventura.

Trujillo è una cittadina coloniale piacevole e animata, evoluta, ma a misura d’uomo. La parola d’ordine ora però è relax. Non ci resta altro da fare che spostarci a Huanchaco per godere delle sue spiagge e della sua squisita cucina di mare. L’aspetto che più colpisce qui è la cura per i dettagli e la pulizia dei luoghi pubblici. Trascorriamo alcuni giorni di spensieratezza e di riposo, ma poco prima di ripartire siamo costretti a far la conoscenza del sistema sanitario peruviano. Myriam infatti inizia ad avere la febbre altissima e non riesce a trattenere i farmaci che le somministro. Così sono costretto a portarla in ospedale in piena notte. Sebbene i prezzi siano bassissimi la sanità non è pubblica, quindi dopo aver visitato Myriam devo correre alla farmacia dell’ospedale per acquistare ciò che serve al medico per curarla. La diagnosi è intossicazione alimentare. Cinque ore sdraiata su una barella in corridoio con flebo alla mano e ci lasciamo alle spalle anche questa brutta esperienza.
Impieghiamo tutta la notte e un altro viaggio stressante, tra problemi tecnici e ritardi del mezzo, per arrivare a Mancora, la più celebre località balneare del paese. Tutta questa fama però è ingiustificata ai nostri occhi. I prezzi sono molto alti, la spiaggia sporchissima, certo le alte onde e l’acqua limpida e, relativamente temperata, sono un richiamo per i surfisti, ma per il resto non ci entusiasma particolarmente.


Proseguiamo lungo a costa, passando per Tumbes, fino a Aguas Verdes, da dove varchiamo il confine equadoregno. Ci dirigiamo subito verso Cuenca, città universitaria incantevole e vivace, nominata non a caso Patrimonio dell’Umanità dall’UNESCO. Qui ad attenderci ci sono i parenti del ragazzo di Samanta che è la sorella di Myriam. Veniamo accolti in famiglia con un tale affetto che ci sembra di essere a casa. Zii e cugini si faranno in quattro per farci conoscere bene i principali punti di interesse del luogo e saranno fondamentali nel darci una mano quando, anche io, avrò problemi di salute leganti nuovamente a un’intossicazione alimentare. Non scorderò mai la bontà d’animo di queste persone meravigliose.
Dopo alcuni giorni di stop, legati al mio malessere, è tempo per Myriam di riabbracciare una cara amica con cui lavorava in nave. Abbiamo appuntamento a Quito con Isabel, ragazza sempre allegra e meravigliosamente pazza che anche io conoscevo già, ma solo da un punto di vista lavorativo. Visitiamo la capitale con l’occhio privilegiato di chi ci vive. Alloggiamo infatti da Pietro, un caro amico di Isabel, un personaggio strampalato al di fuori di ogni convenzione con cui entreremo subito in sintonia. La sera si aggiungono anche altri amici, una scusa per uscire a festeggiare nonostante la stanchezza.



Degli amanti dei mercatini andini come noi non possono perdersi Otavalo, meta di culto in materia, un’esplosione di colori tra stoffe, abiti sgargianti e artigianato d’ogni genere. Una cartolina indelebile nella memoria.

Terminati i giorni di vacanza di Isabel rientriamo insieme a lei nella sua città natale Guayaquil, dove vive tutt’oggi. Anche qui saremo ospiti di un altro gentilissimo amico di Isabel. Cesar e sua figlia Camil si aggiungono così al lungo elenco di incontri che convertono una vacanza in un viaggio. Guayaquil è una città curatissima dove edifici storici si mischiano con classe a quelli moderni. Offre una gran numero di passeggiate e di avvenenti scorci da scoprire. Unico difetto è l’alto tasso di criminalità che un turista disinformato non sospetterebbe mai così a prima vista. Cesar però ci mette a disposizione Eddy, il suo autista personale, che sa metterci in guardia dalle zone meno sicure, e che addirittura, gira armato, aspetto contemporaneamente inquietante e rassicurante.


Ci concediamo un fuoriprogramma, una piccola pazzia delle nostre. Acquistiamo il volo per le isole Galapagos! I nostri dubbi sono legati soprattutto all’aspetto economico. La quasi totalità dei visitatori stranieri infatti, una volta atterrato si imbarca immediatamente in una delle tante navi da crociera che, a prezzi esorbitanti, offrono ogni genere di confort spostandosi da un’isola all’altra. Questo fenomeno fa sì che i locali non traggano alcun beneficio dal flusso turistico, le navi sono infatti di proprietà di imprese internazionali. Non è in questo modo che vogliamo visitare questo paradiso, lo faremo in totale autonomia interagendo con la popolazione locale in tutto e per tutto, dimostrando così che è possibile visitare le Galapagos spendendo poco e facendo del bene a chi ti accoglie nella sua terra.
Il volo è senza dubbi il più movimentato che abbia mai dovuto affrontare in vita mia, avrei preferito prendere una zattera piuttosto, ma questo purtroppo è l’unico modo. Atterrati a Baltra, ci si sposta subito all’Isola di Santa Cruz, precisamente a Puerto Ayora, dove troviamo una sistemazione addirittura con cucina a un prezzo irrisorio. Questa sarà per una settimana la nostra prima base che ci permetterà di esplorare i dintorni. Non possiamo resistere dal correre subito alla Stazione Scientifica Internazionale Darwin, dove abbiamo la fortuna più unica che rara di trovarci totalmente soli. Nessun visitatore, nessuna guardia. Siamo solo noi e decine di tartarughe giganti, talmente grandi che noi accanto a loro sembriamo bambini. Non dimenticheremo mai l’emozione di entrare in contatto con queste magnifiche creature, quasi avessimo il privilegio di dare uno sguardo a un’era lontana ormai scomparsa.
Altro lungo che resterà indelebile nei nostri occhi sarà Tortuga Bay, non tanto per l’indiscutibile bellezza della sabbia bianca e dell’acqua turchese, ma per la varietà e quantità di animali d’ogni genere che ci girano attorno totalmente incuranti della nostra presenza. Iguane, mante enormi, pellicani, paguri, e ancora svariate specie di pesci e uccelli.



Seguono diverse escursioni, a volte per conto nostro, altre volte, quando è necessario navigare verso isole lontane ci affidiamo a quelle organizzate. Ad ogni modo dimostriamo che è possibile vedere tutte le specie animali presenti senza dover usufruire obbligatoriamente di una costosa crociera.

Ora che siamo qui, riusciamo finalmente a comprendere fino in fondo il motivo per cui anche solo nominare le Isole Galapagos induce chiunque a sognare. Sembra di essere su un altro pianeta, un luogo dove gli animali non hanno motivo di temere l’essere umano che rispetta loro e l’ambiente in cui vivono.

Una rapida imbarcazione ci conduce all’isola di Isabela, precisamente a Puerto Villamil, secondo punto base, dove trascorreremo un’altra settimana di gite, passeggiate, navigazioni, spiagge deserte, snorkeling, insomma non ci faremo mancare proprio niente. Un aspetto che abbiamo apprezzato molto e che senza alcun dubbio fa la differenza, è il numero molto limitato di turisti presenti. Ciò permette di essere spesso totalmente da soli rendendo ancor più unico questo paradiso. Anche qui facciamo la conoscenza di molte specie animali tra cui piqueros patas azules, piqueros patas rojas, fenicotteri, pinguini, squali, foche, pesci e mante più grandi di me, e ancora tartarughe sia di terra che di mare. Durante un’escursione in barca mentre osservo i meravigliosi fondali con la maschera noto sotto di me un bel serpente giallo che nuota sereno e aggraziato. Riemergo e rivolgendomi al barcaiolo chiedo se ci sono serpenti velenosi? Lui risponde di non preoccuparmi, che ne esiste solo un tipo di colore giallo molto velenoso, ma che è rarissimo incontrarlo. All’improvviso comprendo come aveva fatto Gesù a camminare sulle acque, e torno sulla mia imbarcazione in tempi da record.

Una volta tornati a Guayaquil, Isabel e Cesar organizzano per noi un paio di giorni di relax da trascorrere tutti insieme a Las Tunas, località balneare dove l’ex moglie di Cesar possiede un piccolo resort sulla spiaggia. La zona è remota proprio come piace a noi, e tra amache e tramonti memorabili avremo l’occasione di goderci i nostri cari amici prima di del nostro volo di rientro in Italia.





Conclusione

Abbiamo vissuto quattro mesi di emozioni, quattro mesi durante i quali ci siamo sentiti davvero liberi, felici di ciò che eravamo e di ciò che stavamo facendo. Certo non sono mancate le difficoltà e i momenti difficili, ma sono stati proprio questi a rendere grandiosa la nostra avventura, permettendo a noi stessi di superare i nostri limiti e di conoscerci a fondo consolidando il nostro legame. Esperienze come queste non hanno prezzo e ci insegnano che la vita va vissuta al massimo ogni singolo giorno senza rimandare a chissà quando i nostri sogni. 

 

 

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2 pensieri riguardo “Sud America 2007-2008 (insieme a Myriam)

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